Credo che il mio pensiero di base sulla donna sia rimasto sempre lo stesso, sicuramente però con
il tempo, crescendo si è inspessito e raffinato. Da bambina, donna per me è sempre stato
sinonimo di mamma, di Nonna, insomma di amore, di casa ma anche di sacrificio. Ad oggi resta
assolutamente lo stesso ma questa mia associazione ha acquisito ancora maggior significato e
valore perché con il tempo ho conosciuto la difficoltà a volte di essere donna, la forza, la
perseveranza, le lotte da affrontare nel mondo de lavoro e nella vita privata, le disparità di genere,
i facili giudizi e i luoghi comuni. Tutte qualità che davo per scontate, naturali e innate e che invece
sono indice di piccole e continue lotte e conquiste quotidiane.
Il mio corpo non so fino a che punto mi piaccia, forse se dipendesse solo da me lo apprezzerei
incondizionatamente perché alla fine so che ogni dettaglio, ogni difetto è solo mio e racconta
qualcosa di me. Ma crescendo sí, ci sono stati aspetti del mio corpo che hanno iniziato a pesarmi,
a farmi sentire “esteticamente” non idonea al canone comune, a quel l’idea di bellezza che la
nostra società riconosce: in particolare modo il seno piccolo.
Paradossalmente ho accettato meglio le prese in giro bonarie dei compagni di classe che mi
chiamavano “piatta”, quando ero meno matura e invece hanno iniziato a rappresentare un vero
ostacolo adesso, in età più matura, poiché bombardata ogni giorno da copertine, riviste, immagini
social, corpi esposti spudoratamente ovunque e in ogni contesto che sembrano volerti ricordare
che sei fatto in modo diverso da quelle immagini lí. E quindi una particolarità è diventata qualcosa
di cui vergognarsi, anziché un valore aggiunto. Ho addirittura iniziato a pensare che il valore
aggiunto fosse quel tipo di bellezza lí che per natura non potrò mai avere. Che sarebbe molto più
semplice tutto, un amore, un lavoro, con quella bellezza.
Ad un certo punto poi, ho sentito una sorta di disgusto, di negatività nel vedere tutto questo. Ho
riflettuto sul fatto che, ad esempio, se mi trovassi in oriente il mio seno piccolo sarebbe perfetto e
allora è solo una preferenza culturale, un’idea che la nostra società dell’apparenza e non della
sostanza, dei corpi e non delle menti mi ha inculcato culturalmente. Ho pensato che forse la
plastica e le foto ritoccate rendessero tutti uguali, nel significato negativo del termine. Tutti fatti
con lo stampino che non è un valore aggiunto ma solo una piatta omologazione.
Questa riflessione sull’essere “culturalmente orientati e condizionati” ha cambiato i miei orizzonti
non solo sulla fisicità ma anche su quei valori, su quelle cose che si dicono, si pensano e si
pretendono da una donna per colpa di un retaggio culturale gretto…e venendo dal sud alcune
idee sull’essere donna sono anche più accentuate che altrove.
Penso che le donne in primis dovrebbero bloccare questa omologazione, questa insicurezza
generata da tutto ciò che ci bombarda e che passa tramite lo schermo. Potremmo iniziare
accettandoci, vedendo la bellezza nelle particolarità che ci rendono uniche, sostenendoci e
cambiando quei pregiudizi che noi stesse abbiamo nei confronti di altre donne a partire da tanta
cattiveria e bodyshaming fatti da dietro una tastiera.
Per me la Donna oggi è difficile da definire. La donna oggi è tutto: lavoratrice instancabile, madre,
portatrice di energia e amore, persona con molti amanti, o con uno solo o con nessuno. Un
Essere con un pizzico di genialità in più forse dato da una sensibilità innata. Forse però oggi la
donna deve ancora lottare per essere chi vorrebbe davvero essere. Allora direi che la donna è
prima di ogni altra cosa umana e come tale deve essere riconosciuta, al pari di un uomo perché
femminismo non è superiorità bensì parità e uguaglianza e che nella complementarietà uomo
donna c’è tutta la bellezza dell’essere umano. E la prima condizione di tutto questo è la libertà di
essere.


Damiana, 23 anni.

Ph. Mattia De Nittis