Del libro “Non ora, non qui” di Enri De Luca, voglio concentrarmi sul suo
rapporto con il padre, del suo essere “un bambino che non chiedeva”, e dei
tempi a scuola, quando i suoi compagni ridevano davanti al suo problema della
balbuzie.
Aveva così tante cose in testa che volendo trasferire i concetti in parole, poi
queste parole facevano fatica ad uscire e incespicavano.
Non riusciva a parlare bene.
Mentre la mente comandava la prima lettera, la bocca premeva per emettere
l’ultima.
Era balbuziente per fretta di concludere.
Aveva così tante cose in testa che volendo trasferire i concetti in parole, poi
queste parole facevano fatica ad uscire e incespicavano.
E questa balbuzie non solo è un ostacolo alla comunicazione, ma è metafora
della vita dell’autore che è anche protagonista: sembra quasi che non riesca a
trovare una sua strada, che non riesca ad amare; il tono è quello del rimpianto
di un’età perduta, della nostalgia di quello che non c’è più.
L’idea è quella di raccontare la sensazione di qualcuno che lentamente cade in
un abisso di ricordi profondo come il mare.
Un bambino insicuro e solo.
L’elemento del mare, richiamato anche negli oggetti dello Still Life, rappresenta
il luogo dove l’autore ha perso l’amico.
Attraverso lo still life composto da oggetti messi in equilibrio voglio
rappresentare la contrapposizione tra la precarietà delle sue parole, la loro
fragilità e instabilità.
La stabilità e l’equilibrio degli oggetti concedono una serenità momentanea.
Voglio che gli oggetti non siano spazialmente riconoscibili per creare ancor di
più una sensazione di spaesamento.
“Non ora, non qui”.
E dove allora?

Progetto di: Marta Ferro